Software libero per fotografi

In questo mio blog ho presentato due gioielli del software libero sull’argomento fotografia.
Il primo, ffDiaporama, in un manualetto allegato all’articolo “ffDiaporama S.O.S.” del giugno 2017, riguarda un software con il quale possiamo utilizzare le nostre fotografie per costruire veri e propri filmati.
L’altro, digiKam, in un manualetto allegato all’articolo “digiKam, il massimo” del febbraio 2018, riguarda un software per la catalogazione di un archivio fotografico (ma non solo).
In entrambi i casi si tratta di software destinati ad utilizzare fotografie già prodotte e finite.
Esistono altri software destinati a produrre o a manipolare le fotografie prima che diventino cosa finita.
A questi dedico il manualetto allegato, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Orange: data science con Python senza scrivere codice

Nell’aprile 2019, con il mio articolo “Software libero per data scientists” e l’allegato PDF “python_anaconda”, ho presentato l’armamentario che ci offre il linguaggio di programmazione Python per il data mining e la data science.
Armamentario fatto innanzi tutto del linguaggio Python e di una serie di librerie che lo arricchiscono per sviluppare script destinati a lavorare con masse di dati al fine di illustrarli, interpretarli e trarne conoscenza. Cose per fare le quali occorre saper programmare, avendo una profonda conoscenza del linguaggio e delle librerie che si utilizzano.
Nel giugno 2019, con il mio articolo “KNIME: l’alternativa a Python per data scientists” e l’allegato PDF “knime”, ho presentato un gioiello del software libero, costruito con il linguaggio di programmazione Java, attraverso il quale possiamo fare per lo più le stesse cose senza scrivere una riga di codice: semplicemente utilizzando visualmente strumenti preconfezionati e contraddistinti da icone, collegandoli tra loro con il mouse.
Con KNIME, ferma la necessità di avere la preparazione matematico-statistica per sapere ciò che si vuole, per farlo non occorre anche conoscere il linguaggio di programmazione per ottenere dal computer ciò che vogliamo ma semplicemente occorre conoscere gli strumenti preconfezionati che il computer ci mette a disposizione e saper scegliere quelli adatti.
Anche nel mondo Python esiste una cosa simile. Si tratta di una libreria, attualmente denominata Orange3, sviluppata al fine di facilitare l’utilizzo delle varie librerie Python per il data mining, che ci offre anche la possibilità di essere utilizzata visualmente con icone e mouse.
Come libreria utilizzabile per scrivere codice alternativo ad altro codice ritengo abbia scarsa utilità ed è forse per questo che non si trova un testo che ne parli, ma non mi sembra giusto ignorare la grande utilità ricollegabile alla possibilità di essere utilizzata visualmente.
Dal momento che nessuno ne parla e che la sola documentazione è quella disponibile sul sito internet, non sempre tecnicamente di agevole lettura e in lingua inglese, ho predisposto l’allegato manualetto illustrativo che non ha altra ambizione se non quella di far vedere di che cosa si tratta con qualche esempio.
Il documento è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Software libero per l’insegnamento della matematica

Qualche frequentatore di questo mio blog mi ha invitato a fare una rassegna di software disponibili per supportare l’insegnamento della matematica, con particolare riferimento alle categorie richieste nel programma ministeriale per la classe di concorso A-28 di Matematica e Scienze.
Si tratta di software di geometria dinamica per la visualizzazione e la sperimentazione geometrica, software di calcolo simbolico, algoritmi e software per la soluzione di sistemi lineari e software per la rappresentazione grafica delle funzioni.
Accolgo con favore l’invito e propongo l’allegato documento in formato PDF nel quale metto di disposizione quanto ho nel tempo sperimentato in una materia che mi ha sempre appassionato ma alla quale non mi sono mai dedicato professionalmente, se non di striscio.
Chiedo pertanto venia per qualche lacuna o improprietà sul piano scientifico.
Il documento è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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KNIME: l’alternativa a Python per i data scientists

Nell’articolo “Software libero per data scientists” dello scorso aprile ho accennato all’abbondanza di software disponibile nel mondo del software libero per la moderna scienza dei dati, quella che ha a che fare con i così detti big data, ed ho allegato all’articolo stesso un manualetto che descrive la dotazione di strumenti di analisi che ci offre il mondo Python, dotazione che trova la sua completezza nella raccolta Anaconda.
Nel testo dell’articolo ho elencato alcuni software, tra cui quello chiamato KNIME, ma, preso dalla foga di Python, ingiustamente non ho detto null’altro di questo gioiello.
Oggi voglio rimediare a questa ingiustizia, quanto meno per richiamare la particolarità che lo caratterizza: si può utilizzare per fare tantissime cose senza scrivere una riga di codice.
Come tutte le cose che qualcun altro ha automatizzato per noi, fa tutte le cose che ha immaginato qualcun altro e non è detto che faccia quelle che vogliamo noi: ma ne fa veramente tante e vanta comunque la possibilità di essere esteso da R o da Python per darci modo di fare quelle poche e rare che non fa lui.
Rigidamente documentato in sola lingua inglese, fortunatamente, dallo scorso marzo, grazie all’editore Apogeo, ha una presentazione in italiano nel volumetto Andrea De Mauro – Big Data Analytics.
Senza permettermi di riscrivere quanto ha già scritto un professionista come De Mauro, ritengo utile proporre l’appunto che allego in formato PDF per una presentazione dell’argomento.
Come sempre il documento allegato è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

knime

Software libero per data scientists

Qualche anno fa la Harvard Business Revue ha pubblicato un articolo dal titolo “Data Scientist: the Sexiest Job of the 21st Century”.
Per farci capire cosa ci sia di così seducente in questa professione, definita la più sexy del XXI secolo, l’articolo la definisce “di alto livello, con la formazione e la curiosità di fare scoperte nel mondo dei big data”, dice che i data scientists “fanno scoperte mentre nuotano nei dati. È il loro metodo preferito per navigare nel mondo che li circonda. A loro agio nel regno digitale, sono in grado di strutturare grandi quantità di dati senza forma e renderne possibile l’analisi.” e conclude invitando il lettore a pensare al data scientist come a “un ibrido di data hacker, analista, comunicatore e consulente di fiducia in una combinazione estremamente potente e rara.”
In maniera meno colorita diciamo che la scienza dei dati è la disciplina finalizzata ad estrarre conoscenza dai dati e che il professionista che vi si dedica deve sapere di informatica e di statistica, avendo anche la capacità di tradurre in linguaggio naturale i risultati delle sue analisi e le indicazioni che ne derivano.
A supporto di quest’ultima capacità di capire e comunicare non esiste software ma per l’informatica (strutturazione dei dati e algoritmi per elaborarli) e la statistica (analisi della correlazione tra dati e dell’inferenza) esiste moltissimo software, sviluppato o reso funzionale alle moderne esigenze soprattutto negli anni più recenti.
Software per analizzare ed elaborare dati ce n’è da quando c’è il computer. Ma fino a qualche tempo fa oggetto delle elaborazioni erano soprattutto piccole quantità di dati numerici: la statistica ha sempre lavorato per lo più su campioni di dati numerici. Le moderne esigenze sono innanzi tutto quella di lavorare sulle enormi moli di dati che vengono accumulati di minuto in minuto dalla digitalizzazione che ha invaso ogni nostra attività e quella di non rinunciare a trarre conoscenza anche dall’analisi di dati non numerici.
Per fare queste cose, nel mondo del software libero abbiamo gioielli come KNIME, Orange e WEKA. Ma la quintessenza, per completezza di strumenti, è una raccolta di programmi open source in linguaggio Python che, tanto per stare tra rettili, si chiama Anaconda, il cui primo rilascio, con licenza libera New BSD, è del 17 luglio 2012.
Esistono raccolte similari: ActivePython, Enthought Canopy e, solo per Windows, WinPython se stiamo a quelle legate al linguaggio Python, Apache Spark, legato al linguaggio Scala/Java, più adatto al calcolo distribuito e utilizzato nei progetti Apache Hadoop e IBM Watson, solo per Linux.
In tutto questo mondo, Anaconda è ampiamente utilizzata e spesso preferita dagli addetti ai lavori per come si presenta e per come è organizzata, per la numerosità dei pacchetti che contiene (anche se, alla fine, quelli che contano sono pochissimi e sono presenti in tutte le altre distribuzioni), per tutta una serie di utilità collaterali che offre in tema di apprendimento e documentazione e, non da ultimo, per la sua scalabilità, cioè per la possibilità che abbiamo di costruirla anche in dimensioni più ridotte di quella completa.
Ovviamente con disponibilità per tutti i sistemi operativi più diffusi (Linux, Mac OS X e Windows).
Dal momento che la documentazione in lingua italiana sull’argomento scarseggia ho ritenuto utile produrre l’allegato manualetto in formato PDF, dedicato a Anaconda.
Come sempre si tratta di documento liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Non solo Linux

Leggendo i contenuti di questo blog è possibile si alimenti la convinzione che l’unico sistema operativo di software libero alternativo ai due sistemi proprietari Windows e Mac OS X sia Linux: infatti ogniqualvolta indico i sistemi operativi su cui girano i vari programmi applicativi che presento mi limito a citare questi tre, due proprietari e uno libero.
Il motivo è che la bandiera del software libero la porta Linux, il cui kernel, per la prima volta rilasciato da Linus Torvalds nel 1991, divenne immediatamente il tassello mancante per il completamento del progetto di sistema operativo GNU di Richard Stallman: tanto è vero che, per alludere al sistema operativo dotato del kernel di Linus Torvalds, invece di dire semplicemente Linux, si dovrebbe dire GNU/Linux.
La primazia ha portato il successo immediato e su GNU/Linux sono nate e si sono sviluppate le varie distribuzioni che conosciamo: in proposito rimando al mio articolo “Quale Linux” dell’aprile 2017, archiviato nella categoria Software libero di questo blog.
Ma dal sistema Unix, dal quale, peraltro, proviene anche il kernel del sistema proprietario del Mac, provengono altri kernel, ugualmente liberi come Linux.
Uno, per un soffio, non prese il posto di Linux nel 1991 per il completamento del progetto GNU: si chiama Hurd. Il progetto Hurd nacque nel 1990 con l’obiettivo di sostituire il kernel di Unix ma ebbe uno sviluppo piuttosto lento e fu battuto sul tempo da Linux.
Dal momento, tuttavia, che Hurd deriva direttamente da Unix, laddove Linux deriva propriamente da Minix, a sua volta derivato da Unix, esso ha una superiorità architetturale che gli sviluppatori hanno sempre apprezzato, al punto da non abbandonare mai il suo sviluppo.
Sicché oggi esiste un sistema operativo GNU/Hurd e si è tentato di crearne delle distribuzioni: l’unica che ha avuto un seguito è la distribuzione Debian la cui ultima versione, Debian GNU/Hurd, è del giugno 2017.
Altro progetto importante che ci mette a disposizione un sistema operativo libero è BSD, che sta per Berkeley Software Distribution, nato nel 1993 sempre per creare un sistema operativo di derivazione Unix.
Grazie a questo progetto oggi disponiamo di FreeBSD, un kernel monolitico, chiamato kFreeBSD molto usato per sistemi operativi su server.
Per desktop possiamo disporre della distribuzione Debian GNU/kFreeBSD e di altre derivate (PC-BSD, DesktopBSD, GhostBSD).
In ogni caso si tratta di sistemi molto simili a Linux e quasi tutto il software scritto per Linux gira anche su di essi (in particolare FreeBSD ha un vero e proprio layer di compatibilità).
Per l’utenza dilettantesca, anche se evoluta, è comunque consigliabile affidarsi ad una distribuzione Linux, se non altro per essere tranquilli circa la compatibilità praticamente con tutto l’hardware in circolazione.

Software libero per la sicurezza informatica

Quello della sicurezza informatica è probabilmente il campo in cui la presenza di software libero è preponderante, forse anche perché è in questo campo che troviamo tutto il software anonimamente creato ed utilizzato dagli hacker cattivi per compiere le loro azioni, molto spesso criminose e, purtroppo, portatrici di danno.
Tra l’altro è molto spesso difficile stabilire, per esempio, se un software destinato a trovare i punti deboli di una rete sia nato per rimediare alle falle (finalità di sicurezza) oppure per penetrare nella rete e rubare dati dai computer che vi sono collegati (finalità criminosa).
Sicché ormai tutte queste attività destinate ad indagare i lati più misteriosi dell’informatica sono universalmente catalogate nel così detto hacking, salvo poi distinguere tra hacker bianchi e hacker neri, magari anche grigi: i bianchi sono quelli buoni, altrimenti detti hacker etici, che si accorgono di falle e le comunicano a chi di dovere affinché trovi rimedio, anche suggerendo il rimedio stesso, i neri sono quelli cattivi, che ricercano o creano i punti deboli per fare danno. In mezzo stanno i grigi, a caccia di punti deboli per ricattare chi ne soffre.
Penso che i singoli tool per fare queste cose siano parecchie centinaia ed abbiano creato una vera e propria foresta inestricabile.
Fortunatamente c’è chi si è dato la briga di creare delle raccolte, addirittura raggruppando vari strumenti attorno ad un kernel di sistema operativo a loro dedicato, in modo che gli strumenti stessi siano utilizzabili in ambiente separato da quello su cui facciamo le nostre cose di tutti i giorni.
Siamo in pieno software libero e il sistema operativo universalmente utilizzato per queste cose non può che essere Linux.
Nel manualetto allegato in formato PDF presento un paio di soluzioni che insieme penso raccolgano la stragrande maggioranza dei tool esistenti.
Come sempre il manualetto è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile, mi auguro a fin di bene.

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Sempre software libero per perfezionare la blockchain

Lo scorso marzo, sotto il titolo “Software libero per la blockchain”, ho raccontato come il software che fa funzionare la prima applicazione della blockchain, la piattaforma Bitcoin, sia open source, talmente open che nemmeno si conosce esattamente chi abbia cominciato a scriverlo.
Ho anche indicato come chiunque possa procurarsi questo software e lo possa caricare sul suo computer diventando così un nodo della rete blockchain.
Open il software, open la rete in questa prima applicazione della blockchain, che qualcuno ha ormai battezzato Blockchain 1.0.
Da alcuni mesi, usciti dalla fase delle sperimentazioni, possiamo affermare che funzioni la Blockchain 2.0.
L’evoluzione tra le due concezioni sta nel fatto che, mentre la Blockchain 1.0 è aperta a chiunque, in gergo unpermissioned ledger, la Blockchain 2.0 si presta al governo delle partecipazioni, in gergo permissioned ledger. E’ questa evoluzione che segna e segnerà l’estensione inimmaginabile delle applicazioni della tecnologia blockchain non solo ad applicazioni pubbliche, dove tutti sono in grado di vedere tutto e potenzialmente tutti possono autorizzare le transazioni (mining), ma anche ad applicazioni private, dove sia possibile stabilire chi possa autorizzare e chi possa e cosa possa vedere.
Ovviamente è la seconda concezione quella più adatta ad applicazioni nel mondo degli affari, quello che sicuramente è il più predisposto a cogliere l’innovazione e che maggiormente contribuirà allo sviluppo delle applicazioni blockchain, almeno nell’immediato.
Il passaggio dalla Blockchain 1.0 alla Blockchain 2.0 ha richiesto un immane sforzo per l’adeguamento del software: la gestione delle permission, infatti, non è uno scherzo.
Ed è qui che si è avuta la più grandiosa manifestazione della potenza dell’open source: la piattaforma che ha reso possibili le prime applicazioni Blockchain 2.0 è infatti la Hyperledger Fabric, il cui sviluppo è stato promosso da IBM all’interno della Linux Foundation.
Tra l’altro è stato un bel modo di festeggiare il compleanno ventennale dell’open source: questo è infatti nato nel 1998 con l’uscita del codice sorgente del browser Netscape Navigator.
La Linux Foundation nasce una dozzina di anni fa per favorire e sostenere una crescita ordinata di Linux sul mercato. I primi progetti furono il Linux Standard Base, l’Open Printing, Data Center Linux, Carrier Grade Linux e altri, tutti destinati ad una standardizzazione nel mondo Linux, il cui kernel veniva utilizzato in svariate distribuzioni, ed all’accelerazione dell’ingresso di Linux nel mondo enterprise.
La serietà di intenti e la filosofia open source che ispirava l’iniziativa attrassero immediatamente l’attenzione di grandi operatori come IBM e Oracle, che furono gli apripista di quella che è diventata l’attuale nutrita schiera di sostenitori della Linux Foundation (ormai ne fa parte la stessa Microsoft) e che furono i primi a capire che, almeno per realizzazioni di natura “infrastrutturale”, la via da seguire è quella della collaborazione: ciò che, in tema di software, si chiama open source.
Hyperledger Fabric, da alcuni definito consorzio di innovazione, è la prima grande realizzazione ispirata a questi concetti.
Ovviamente non siamo in presenza di un pacchetto direttamente installabile sul nostro computer, come avviene per il software Bitcoin. Siamo in presenza di una piattaforma su cui potrà lavorare lo specialista che chiameremo a costruire la nostra applicazione blockchain privata. Ma, ancora, lo specialista lavorerà con software libero: infatti la programmazione degli smart contract che magari la nostra applicazione dovrà gestire avverrà con il linguaggio Go, quello che Google ha regalato al mondo del software libero. Ma già si sta lavorando affinché sia possibile utilizzare anche il linguaggio Java, ormai altrettanto libero.
Potenza del software libero!

Poker di editor video

L’ultima volta che ho parlato di editor video in questo blog risale al settembre 2016. A quell’epoca, in un articolo intitolato “Kdenlive sempre meglio, ma solo per Linux”, commentavo il rilascio della innovativa versione 16.08.01 dello storico software libero Kdenlive, lamentando il fatto che ancora non fosse comparsa una versione per coloro che insistono ad usare il sistema operativo Windows, annunciando tuttavia che ci si stava lavorando.
Già allora esistevano altri editor video prodotti nel mondo del software libero ma, a torto o a ragione, ero convinto che Kdenlive fosse di gran lunga il migliore.
Oggi, verso la fine del 2018, mi accorgo che quest’anno sono state rilasciate le nuove versioni di ben quattro software liberi di editing video, che si tratta di versioni lavorando con le quali non si capisce che cosa si possa ancora migliorare e che tutti i quattro software sono disponibili per i tre più diffusi sistemi operativi Windows, Mac OS X e Linux.
Ai più anziani Avidemux e Kdenlive si sono aggiunti i relativamente più recenti Shotcut e OpenShot, tutti ormai a livello di perfezione, a formare un vero e proprio poker d’assi per dilettanti ma non disprezzabile per esigenze di esperti professionisti.
Per questi ultimi esiste comunque sempre il meno dilettantesco Cinelerra, il cui ultimo rilascio risale al 2017, ancora riservato ai soli sistemi Linux e Mac OS X: non lo considero nel poker in quanto il suo utilizzo è più da professionisti e il mio blog si rivolge ad un pubblico di dilettanti.
Mi accorgo che in rete esistono non pochi manuali, manualetti, tutorial e video-tutorial su tutti questi software, anche il lingua italiana, per cui il mio compito divulgativo potrebbe esaurirsi qui.
Dal momento, però, che la situazione è divenuta tale da mettere in dubbio la primazia tradizionalmente attribuibile a Kdenlive e si crea l’imbarazzo della scelta, per fornire elementi utili ad un giudizio consapevole ho ritenuto di riepilogare nel manualetto allegato alcuni aspetti che non riguardano tanto il funzionamento dei vari software quanto invece come i vari software si attagliano a quelle che possono essere le nostre finalità e le nostre attrezzature.
Come sempre il manualetto, in formato PDF, è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Software libero per sintesi e riconoscimento vocale

Macchine che parlano o che comprendono la voce umana hanno sempre esercitato un enorme fascino, fin da quando, sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, i primi robot sono comparsi con le loro voci metalliche nelle fiere e nelle esposizioni.
Tuttavia si può dire che fino all’inizio del nostro secolo si è sempre trattato di cose che poco avevano a che vedere con ciò che facciamo tutti i giorni. Nonostante ciò, la ricerca e la sperimentazione nel campo della sintesi e del riconoscimento vocale sono sempre state attive ed oggi, sia grazie alla quasi perfezione dei risultati tecnici raggiunti sia grazie all’utile applicabilità di questi risultati alle moderne apparecchiature, soprattutto quelle di ultima generazione nel mobile, praticamente tutti i giorni utilizziamo queste tecnologie.
Gli apparecchi telefonici installati sulle automobili e gli smartphone sono già dotati di tutto quanto serve perché ci venga letto un messaggio SMS o perché lo possiamo dettare.
Per non parlare del navigatore che abbiamo sull’automobile, che ci indica la strada a voce.
Tutto ciò non avviene per i personal computer o, quanto meno, sui personal computer, queste tecnologie non sono così automaticamente presenti e così facilmente accessibili.
Per chi voglia superare questo incomodo ho ritenuto utile catalogare quanto di meglio ci offre il software libero in questo campo nel manualetto allegato, liberamente scaricabile e distribuibile.

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